In Italia, inizialmente epicentro del Covid-19 in Europa, molte persone hanno subìto le conseguenze della pandemia. Ma sono i migranti, i senzatetto, gli anziani e le donne vittime di violenza domestica ad essere stati colpiti maggiormente.
Sei anni fa, Musa Badamosi*, 33 anni, ha lasciato il suo lavoro da insegnante della primaria in Gambia per diventare studente. Voleva scoprire cosa avesse da offrire la vita al nord del Mar Mediterraneo. Badamosi, che ora vive in Italia, ha capito che l’immagine del sogno europeo che si era creato a casa non riflette la realtà. Migliaia di migranti vanno in Italia in cerca di una vita migliore. Nella maggior parte dei casi, si ritrovano invece ad essere l’ultima ruota del carro, lavorando nell’invisibilità spesso nella raccolta di frutta e verdura che finisce sulle nostre tavole. Badamosi, che non è riuscito ad ottenere i documenti, non fa eccezione.
“Il primo giudice che si è incaricato del mio caso è morto, il secondo è andato in pensione prima che concludesse e il terzo mi ha dato un responso negativo” spiega Badamosi. “Ho fatto ricorso in appello per quest’ultima decisione. Non ho mai creato problemi… Cosa dovrei fare per ottenere questi documenti?”
“Senza è veramente difficile trovare un lavoro stabile e avere un’entrata fissa. Da quando è scoppiata la pandemia, non sono più stato in grado di lavorare e non sto mandando soldi alla mia famiglia. Che cosa dirà mia moglie? Chiederà il divorzio?”
Dal suo arrivo in Italia nel 2014, Badamosi ha cercato un modo per migliorare la sua istruzione per facilitare la sua integrazione, ma sembra essere stato un progetto non alla sua portata. Non c’è stata quindi altra alternativa che che unirsi ai ranghi di migranti che lavorano nel settore agricolo. Questo fenomeno del tutto Italiano noto come caporalato, è in sostanza sfruttamento di manodopera a basso costo. Gli imprenditori della filiera e i caporali – i caposquadra incaricati di assumere lavoratori – sfruttano i migranti e i rifugiati privi di documenti a causa della loro instabilità e disperazione. Lunghe ore di lavoro, salari ridicoli, contratti a breve termine e nessuna copertura assicurativa fanno ormai parte della loro esistenza alimentando il fuoco della loro agonia.
“A volte mi pento di aver lasciato il mio paese, ma cosa posso fare ora?” chiede Badamosi, la sua ennesima domanda senza risposta.
‘Risoluzioni cosmetiche’
Da quando il numero di immigrati è aumentato dalla fine degli anni 80, il governo italiano non è riuscito a gestire le condizioni dei migranti. Il punto di svolta è avvenuto quando i raccoglitori dovevano sudare nei campi di tutto il paese, proprio come nella situazione attuale, dove vi è una forte carenza di disponibilità di braccia nell’agricoltura. Questo spiega perché è stato raggiunto un accordo con la Romania per coinvolgere i lavoratori nonostante le restrizioni di spostamento oltre confine ed è stata votata una nuova regolarizzazione di massa – la sesta dal 1986. Questa avrà un impatto su metà dei circa 600 mila migranti privi di documenti che ora vivono in Italia.
“Una regolarizzazione del settore, come quella che il governo sta discutendo, non sarà efficace. Questa è una possibilità che ogni immigrato clandestino dovrebbe avere, altrimenti molti di loro finiranno per arrendersi alle organizzazioni criminali”, afferma Marco Paggi, membro dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’immigrazione attiva nella promozione del diritto del lavoro. “Ecco perché avevamo proposto una regolarizzazione più ampia. Sappiamo tutti che molti datori di lavoro avrebbero comunque assunto i migranti in nero, per questo abbiamo anche suggerito di regolarizzare quelli che attualmente non hanno un lavoro per consentire loro di trovarne uno e impedire ai mafiosi di arrivare prima”. Nonostante il suo impegno, Paggi non riesce ad essere positivo memore di quando partecipò ad una commissione parlamentare nel 2012. “I politici ai quali mi rivolgevo non avevano idea di che cosa stessi parlando. Il pensiero più diffuso all’interno delle istituzioni è che i criminali sono quelli che commerciano e rubano, non quelli che sfruttano i lavoratori. Dopo la sessione, solo uno di loro mi disse che aveva trovato buone le nostre proposte, ma che tutte le decisioni che prendono sono risoluzioni cosmetiche dettate da interessi politici ”.
Nessuna casa dove stare
I senzatetto – molti dei quali immigranti – sono solitamente tra coloro che non rientrano negli interessi politici. Di primo acchito, il corona virus sembrava unire e riunire tutti. Poi, con il passare dei giorni, sono emerse disparità evidenti che ci hanno ricordato che non siamo tutti uguali. La pandemia sta piuttosto accentuando tali differenze. La campagna “Io resto a casa” che il Primo Ministro Giuseppe Conte ha lanciato quando l’Italia fu costretta al lockdown il 9 marzo deve essere sembrata assurda o addirittura offensiva per coloro che non hanno una casa. Oggi, ci sono circa 50 mila senzatetto in Italia, secondo l’Istituto Nazionale di Statistica.
Nella città costiera est di Ancona, ne Le Marche, Remo Baldoni, 76 anni, con il suo doblò Fiat grigio fornisce ai senzatetto cibo, vestiti, coperte e “tutto ciò di cui hanno bisogno”.
“Mi metto sempre nei loro panni e penso a cosa cercherei io se vivessi in strada, quindi porto anche sigarette e un po’ di soldi per prendere un caffè”, dice. Baldoni è il presidente del Servizio di Strada Onlus di Ancona, un’organizzazione non lucrativa a scopo sociale che si occupa dei senzatetto dal 2006. “Sono loro che mi danno la forza di andare avanti”, afferma Baldoni , sottolineando che egli stesso voleva che i volontari della sua associazione rimanessero a casa per evitare di contrarre il corona virus.
“Sono solo ora, ma non ho paura del virus. I senzatetto mi dicono di proteggermi, perché senza di me si sarebbero persi… La mia posizione agiata svanisce quando sono con loro. C’è una relazione di fiducia e lealtà tra noi “.
Ovviamente, la pandemia l’ha trasformata in una relazione più fugace. “Prima che il corona virus cambiasse le nostre vite, mi trattenevo sempre un po’ di più per parlare e scherzare con loro. Ora non posso, do loro ciò di cui hanno bisogno, ci scambiamo qualche parola e parto. Da quando ho iniziato questo percorso, ho scoperto un mondo meraviglioso popolato da persone straordinarie. Ho incontrato persone istruite e molti poliglotti e mi sento più ricco grazie a loro.”
Case di riposo
Il governo italiano non ha prestato la dovuta attenzione agli anziani ospiti nelle case di riposo. Secondo il terzo rapporto pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità il 14 aprile, sono venuti a mancare 6673 anziani tra il 1° febbraio e il giorno della pubblicazione. Di queste morti, il 40% era dovuto al Covid-19, una cifra che trasforma le case di riposo in uno dei maggiori focolai di questa pandemia. Molti pubblici ministeri in tutta Italia hanno iniziato ad esaminare la questione, con 70 indagini avviate solo a Torino.
Per proteggere gli anziani, alcune province della Lombardia e de Le Marche hanno chiesto aiuto a Medici senza frontiere (MSF). Un team di specialisti nella gestione delle epidemie ha stretto un accordo iniziale con il dipartimento anconetano dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale (ASUR Marche) per istituire un sistema di supporto per gli assistenti sociali nelle case di riposo.
“Lavoriamo principalmente sul contenimento e sulla prevenzione”, afferma Tommaso Fabbri, project manager di MSF ad Ancona. “Cerchiamo di trasmettere le nostre conoscenze su come utilizzare correttamente i dispositivi di protezione individuale al fine di proteggere sia gli assistenti sociali che i pazienti. Quindi ci concentriamo sul “percorso sporco-pulito”, dal momento che gli assistenti sociali si occupano sia di pazienti positivi che negativi. Quindi identificare aree “sporche” e “pulite” è fondamentale per prevenire la diffusione del virus”, aggiunge Fabbri.
Violenza domestica
C’è un altro virus che non ha smesso di diffondersi negli ultimi mesi: la violenza, specialmente sulle donne che erano già in relazioni violente.
Durante il lockdown alcune di loro sono state costrette a passare quasi tutto il loro tempo con i rispettivi partner. Pertanto, le richieste di aiuto dai centri anti-violenza hanno visto un aumento significativo, più del 75% rispetto a marzo-aprile nel 2019, secondo la rete Online Women Against Violence o DiRe Donne in rete contro la violanza.
“A dire il vero, abbiamo registrato un aumento dei contatti via chat, perché ovviamente le donne hanno meno possibilità di parlare liberamente”, afferma Simona Bernardini, coordinatrice delle psicologhe al Telefono Rosa, un’associazione di volontariato fondata nel 1988 che fornisce supporto psicologico e consulenza legale alle donne vittime di violenza.
“Di solito riceviamo le donne nel nostro studio a Roma, ma dal momento che stiamo lavorando da casa, siamo state anche in grado di fornire aiuto al di fuori della nostra regione”, afferma Bernardini, precisando che il tempo di latenza tra attacchi violenti si è notevolmente ridotto.
“La fase in cui le donne si rendono conto che potrebbe succedere qualcosa di brutto è quasi scomparsa durante il lockdown, c’è una costante sensazione di tensione e i partner usano la violenza in modo molto più frequente del solito.”
Allo stesso tempo, le “richieste da parte di terzi” sono aumentate. “Molti genitori, parenti e amici preoccupati ci chiamano per chiedere cosa possono fare per aiutare. Diciamo loro di non intervenire bruscamente, ma di ascoltare le vittime. Questo è ciò che facciamo come professioniste.
“Non interveniamo, perché le donne vittime di violenza hanno bisogno di essere ascoltate e sentirsi dire quali opzioni hanno, ma soprattutto devono poter esprimere le proprie emozioni. Lasciamo spazio al contenimento della paura, del dubbio e dell’angoscia, e costruiamo poi un nuovo pensiero partendo da lì “, afferma Bernardini, aggiungendo che “prestare consulenza significa ripristinare il valore delle emozioni che le donne provano”.
*Nome fittizio per paura di deportazione
Articolo pubblicato per la prima volta da New Frame. Vedi articolo in lingua originale https://www.newframe.com/how-covid-19-has-affected-vulnerable-people-in-italy/